CORRISPONDENZA DALLA CINA 2/2

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CORRISPONDENZA DALLA CINA 2/2

 La globalizzazione è un processo che oramai ha superato la fase di rodaggio, e quindi viaggia in autostrada a regolare velocità di crociera.

Anzi sembra voler chiedere più velocità, ma è necessario ancora del tempo per raggiungere andature più sostenute.

Nel processo di globalizzazione è inserito, per quanto ci riguarda anche tutta la dinamica dell’import – export.

La Cina è un Paese/mercato dove le imprese italiane, sono arrivate molto ma molto in ritardo.

È la prima cosa che si nota, girando per questo enorme e grande Paese.

La sensazione è forte è tutta l’esperienza del marketer internazionale fa in modo che uno dietro l’altro i “falsi” del made in Italy sono maggiori, ma di una lunghezza enorme, ai prodotti realmente proveniente dall’Italia.

Cibo e moda sono i due settori veramente più colpiti. Facciamo alcuni esempi classici.

1) Prodotto alimentare chiamato “Minestrone” prodotto negli Stati Uniti con logo dell’Italia a cui manca la povera Sicilia. 

 2) Prodotto alimentare chiamato “pomodori pelati” con scritte in lingua italiane ma interamente prodotto in Cina con prodotto italiano e prezzo tipicamente del prodotto cinese (il prezzo di vendita di quest’ultimo prodotto al pubblico è di 5 Rmb contro una media di 13 Rmb del prodotto realmente made in Italy).

Per non parlare poi della solita pizza e spaghetti bolognese che oramai si trovano in ogni ristorante cinese che vuole in qualche modo offrire una cucina internazionale.

Al di la di questi classici e in qualche modo pittoreschi episodi, ci siamo chiesti perché non esiste attività di penetrazione commerciale ben precisa in Cina.

Per rispondere a questa domanda dobbiamo fare una distinzione, ovverosia parlare della presenza nel mercato Cinese come vendita e poi analizzare la presenza delle imprese italiane come acquisti e approvvigionamento.

Iniziamo da quest’ultimo processo, perché forse è quello che in qualche modo interessa molto di più le aziende, anche se non sono impegnate nelle importazione dai vari “low costs countries”.

In Cina è tutto un fermento, tutti vendono qualcosa a qualcuno, tutti i buyer vengono in questa terra d’oriente per comprare, produrre, ricercare, assemblare, fare in altre parola, un grande affare e portare via merce da rivendere nei propri paesi di provenienza.

Questa situazione ci spinge quindi a 2 immediate riflessioni.

La prima è che le nostre aziende esportatrici con prodotti di bassa qualità e non tecnologicamente innovati, trovano nei prodotti cinesi, in pratica esportati in tutto il mondo, il loro principale concorrente.

Basti pensare che alla scorsa edizione della Fiera di Canton, una della più importanti della Cina, sono state registrati buyers proveniente da ben 198 nazioni.

Ora se si considera che nel mondo abbiamo all’incirca 240 mercati possibili, buyers provenienti da Andorra, Lichtenstein e Sultanato del Brunei non sono stati presenti alla Fiera.

Quindi basta con le solite frasi, “bisogna fare squadra” etc etc. le imprese italiane che producono prodotti non eccellenti, devono capire che il gap di vantaggio, detto anche vantaggio competitivo, nei confronti dei concorrenti cinesi, indiani si ridurre nel giro di qualche anno.

Bisogna tirarsi su le maniche, non piangersi addosso, venire qui in Cina, e capire come e dove sconfiggere i concorrenti cinesi.

Stando seduti al proprio tavolo di lavoro andando a seminare proposte via email intorno al mondo non si vince nessuna battaglia.

La seconda riflessione sta nel fatto che la Cina è in fase di crescita evidente, e quindi come tutte le fasi di crescita, comporta un’organizzazione, riorganizzazione e revisione dei processi aziendali.

Quindi come dire, anticipando il concetto: non è oro tutto quello che luccica.

Le imprese che comprano qui in Cina devono in qualche modo costruire la loro rete di controllo e accesso ai meccanismi di approvvigionamento.

Le regole del gioco cambiano con velocità impensabile per noi in Italia.

Un fornitore cinese non è sempre al passo del suo cliente Italiano.

Basti pensare che nel 2013 l’economia in generale è cresciuta dell’11,5% su base annua. Con investimenti enormi da fare o comunque impostati.

Il solo commercio estero nell’anno passato è cresciuto del 25%. Solo questo giustifica a capire perché gli aerei dall’Europa verso la Cina sono sempre pieni

Ci dovrebbe essere una riduzione della quota di export perché è obiettivo del governo convertire l’esportazione di prodotti di “massa” con prodotti di qualità definiti per l’appunto “higher value‐added products”.

Abbiamo fornito qualche dato preso dalla stampa internazionale, (The Economist) per far capire che il “subbuglio” dell’economia cinese si riflette nelle fabbriche, nelle trading compagnie, nelle società di import export.

C’è mancanza, in alcuni settori di operai generici, ma anche di operatori con specifiche competenze e conoscenze.

Questa situazione si ripercuote anche nella categoria “impiegati” e middle management.

Gli aneddoti da raccontare per la mancanza di operai e di competenze specifiche sarebbero innumerevoli, ma non è la sede questa per raccontare ciò che accade quotidianamente.

È il processo di approvvigionamento che ne risente.

La non conoscenza delle cose, la non permanenza per un periodo in Cina, la non conoscenza delle questioni culturali ed altro ancora, in futuro, sarà più penalizzante per l’impresa Italiana.

 

 

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